DONNE E VIOLENZA
Secondo l’ Organizzazione Mondiale di Sanità “la violenza contro le donne rappresenta un problema di salute pubblica di proporzioni epidemiche globali”
Secondo la stima pubblicata a giugno 2019 dalla Banca Dati EURES sugli Omicidi Dolosi in Italia, progettata per poter realizzare approfondimenti specifici su singoli aspetti e/o caratteristiche del fenomeno omicidiario (analisi vittimologiche, analisi del movente, indici di rischio, assi relazionali tra vittima e autore, incidenza del fenomeno di disagio e degrado sociale), mentre diminuiscono gli omicidi in generale, sono in costante aumento quelli in ambito domestico.
Le donne uccise nel nostro Paese muoiono quasi esclusivamente per mano di un famigliare o partner o ex partner, stiamo In Italia nel 2018 un omicidio su due (49,5%) è commesso in famiglia. Fenomeno in crescita nei primi 5 mesi del 2019 (+10,3%). Nel 2018 il 49,5% delle vittime degli omicidi volontari commessi in Italia è stato ucciso all’interno della sfera familiare o affettiva: parlando dell’83,4% delle vittime femminili
La violenza contro le donne è nascosta entro le mura domestiche o all’interno della relazione sentimentale e non viene denunciata a causa della paura, della vergogna, o della comune accettazione, come se tanto è In almeno il 64,6% dei casi in cui le vittime sono state uccise con armi da fuoco, l’assassino risultava in possesso di un regolare porto d’armi (in diversi casi per motivi di lavoro), confermando quindi la necessità di controlli più accurati, soprattutto in presenza di situazioni stressanti o comunque “a rischio” (ad esempio una separazione o la grave malattia di un familiare stretto).normale così.
In almeno il 64,6% dei casi in cui le vittime sono state uccise con armi da fuoco, l’assassino risultava in possesso di un regolare porto d’armi (in diversi casi per motivi di lavoro), confermando quindi la necessità di controlli più accurati, soprattutto in presenza di situazioni stressanti o comunque “a rischio” (ad esempio una separazione o la grave malattia di un familiare stretto).
La violenza psicologica, cioè gravi episodi di denigrazione, svalorizzazione, controllo, gelosia ossessiva, colpisce 4 donne su 10.
La violenza morale si identifica in una serie ben definita di azioni, omissioni, linguaggio e modalità di interazione, la quale, ripetuta sistematicamente nel tempo, è volta a svilire, umiliare, incatenare, destabilizzare ed infine deprogrammare l’identità della vittima.
La violenza psicologica non necessariamente sfocia nelle percosse. Inoltre, sarebbe un gravissimo errore ritenere che l’uccisione della vittima sia l’ultimo gradino della scala infernale costituita da violenza psicologica-violenza fisica- femminicidio. Sono, difatti, numerosi i casi di donne e figli uccisi senza che si fossero mai verificati episodi di violenza fisica.
E’ bene tenere a mente due dati:
-la violenza psicologica precede sempre sia l’omicidio, sia le lesioni gravissime (si pensi alle vittime sfigurate dall’acido o dal fuoco);
– la violenza psicologica precede sempre la violenza fisica.
Per tali motivazioni, riconoscere i tratti distintivi di questo mostro invisibile è di fondamentale importanza sia per il singolo individuo, affinché abbia modo e facoltà di salvare la propria vita e preservare la propria salute mentale, sia per le istituzioni, i giudici, gli avvocati, i medici e gli operatori che lottano contro la violenza.
La violenza psicologica, a differenza di quanto accade in Irlanda, che con il Domestic Violence Act entrato in vigore a gennaio 2019, in Francia, in Inghillterra e nel Galles, Paesi in cui l’abuso psichico è un reato, in Italia non è tipizzata. Tuttavia, alcuni degli atti attraverso cui si realizza sono puniti dalla legge e danno diritto a forme di tutela e di risarcimento. Purtroppo, vi è una difficoltà evidente ad identificarne i contorni, sia da parte della vittima sia da parte della legge.
La condotta di colui che denigra con frasi sprezzanti e sorriso ambiguo, i silenzi, le prevaricazioni, intervallate da momenti di tenerezza artatamente concepite, i tradimenti multipli, le fughe e i ritorni ciclici, la colpevolizzazione e l’atteggiarsi a vittima, da parte del soggetto abusante, costituiscono violenza morale e come tale rappresentano una lesione inferta alla salute psichica e fisica ed una violazione dei diritti civili, che la legge e, prima di essa, la Costituzione, tutela. Le vittime, confuse dall’andamento sovente ambiguo dell’abusante, tendono non solo a non reagire ma neppure a riconoscere l’abuso. La violenza morale è insidiosa ed imprigiona, rende la persona incapace di reagire. Molte vittime, nonostante in passato abbiano avuto relazioni sane, finiscono nel labirinto della violenza morale e vi rimangono come fossero paralizzate. Riconoscere nel partner un aggressore è assolutamente complicato. I sentimenti verso di lui, lo stato di prostrazione psichica in cui versa la vittima e la mancata conoscenza dei tratti distintivi della violenza psicologica, sono tra le ragioni per le quali si rimane paralizzati nella relazione abusante.
Estremamente pericoloso è recarsi ALL’ULTIMO APPUNTAMENTO, molte donne sono state uccise o sfigurate
La Convenzione di Istanbul, la Costituzione e le leggi vigenti ti tutelano ed hai diritto ad essere difesa gratuitamente a spese dello Stato.
La gelosia ossessiva non è amore, l’insulto e le critiche sprezzanti e ripetute nel tempo non sono amore, i tradimenti seriali non sono amore, ma sono tutti comportamenti riconducibili alla violenza relazionale. I ti amo gettati là e contraddetti dal contesto in cui le parti si muovono o dal comportamento concreto, sono ami con cui soggetti immaturi o disturbati cattureranno persone alla ricerca disperata di un amore da film romantico o persone che hanno una bramosia di essere amate a tutti i costi.
La tolleranza deve essere pari a zero. Le modalità disfunzionali non possono essere né tollerate né agite in modo compartecipe. Ogni persona può e deve scegliere di salvaguardare la propria dignità ed i propri confini psichici, emotivi e fisici. Le cause di incapacità di autotutela.
Il concetto di mobbing familiare comporta una serie di comportamenti, alcuni dei quali potrebbero avere autonoma rilevanza penale, che vengono ripetuti costantemente in danno del partner. Tali comportamenti si concretizzano una serie di vere e proprie vessazioni, soprattutto di tipo psicologico, che portano il soggetto destinatario a subire un costante svilimento della propria personalità, ad annullare la propria autostima. Così, ad esempio, dai semplici apprezzamenti negativi sulle capacità di gestione del menage familiare, si passa alla costante denigrazione dell’aspetto fisico, delle capacità del partner, alla sistematica demolizione dell’integrità della personalità mediante l’insulto, il rifiuto di ogni apprezzamento e via dicendo. Il mobbing coniugale è determinato dai comportamenti su descritti e dalla ripetitività nel tempo, insomma perché vi sia mobbing è necessario che tali atteggiamenti siano divenuti una modalità relazionale e non rivestano, quindi, il carattere della transitorietà.
La Cassazione, (tra le ultime) nella sentenza N. 10285/2018), ha più affermato che, per potersi parlare di mobbing sono necessari i seguenti elementi:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo;
b) il danno alla salute, alla personalità o alla dignità della vittima che, nel nostro caso, è un componente del nucleo familiare.
d) l’intento persecutorio che deve muovere il colpevole e portarlo a realizzare tutti i comportamenti lesivi. Si parla, a riguardo, di un dolo specifico ossia della volontà che deve sorreggere ogni singola condotta mobbizzante, volontà rivolta a realizzare il danno nella vittima.
Quale è’ il disegno del mobber? La distruzione del partner. Un vero e proprio disegno posto in essere al fine di operare una eliminazione della sua personalità.
Segnali tipici sono:
giudizi offensivi e atteggiamenti irriguardosi
atteggiamenti di disistima e di critica aperti e teatrali
rifiuto di collaborare alla realizzazione dell’indirizzo familiare concordato
tentativi di sminuire il ruolo in famiglia
continue imposizioni della propria volontà in relazione a scelte familiari
azioni volte a sottrarre beni comuni alla coppia
coinvolgimento continuo di terzi nelle liti familiari.
Il mobbing familiare può essere attuato all’interno della coppia genitoriale in seguito alla separazione o al divorzio. Segnali possono essere costituiti dalle minacce, dalle campagne di denigrazione e delegittimazione familiare e sociale, dal tentativo di sminuire il ruolo genitoriale agli occhi del figlio.
Qualora l’illecito rientri nella fattispecie di reato di cui all’art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare) o art 572 c.p. (delitto di maltrattamenti in famiglia), la risposta sanzionatoria penale sarà fornita anche dai nuovi strumenti di tutela previsti dal legislatore con la l. n. 54/2001 in tema di tutela contro i soprusi nell’ambito della famiglia.
Tuttavia, per sottrarsi alla violenza ed allo sfruttamento si deve recuperare la capacità di azione, di difesa, la autostima ed i propri confini.
Diversamente rispetto a quanto accade in altre ipotesi, la persona offesa dai reati agiti in ambito familiare o sentimentale, ha incapacità di reazione immediata (sopporta in silenzio per mesi o anni), è ambivalente, interrompe la relazione ma poi torna a riappacificarsi, denuncia ma poi ritira la querela. Ciò si verifica per molteplici ragioni che vanno dalla deprogrammazione psichica causata dalla violenza subita, al senso di vergogna, alla paura, alla illusione di salvare il rapporto disfunzionale.
VIOLENZA CARNALE
Le statistiche parlano, nel nostro Paese di 11 stupri al giorno e circa il 21% delle donne (pari a 4,5 milioni) sarebbe stata vittima di ricatti sessuali, molestie o violenza carnale; tuttavia, le vittime denunciano il colpevole solo nel 10% dei casi.
E’ aberrante rilevare infine che 7 stupri su 10 sono commessi da persone vicine alla vittime: partner o ex partner, parenti stretti, docenti, datori di lavoro, amici. Andando ad analizzare i dati forniti dalla indagine ISTAT del 2014, si legge che sono i partner e gli ex partner addirittura nel 100% dei casi a forzare le vittime ad una attività sessuale ritenuta umiliante, così come a costringere la donna ad avere rapporti sessuali con più persone siano nel 93% dei casi sempre i partner ed ex partner, il 7 % estranei. Ancora, le vittime sono costrette a rapporti sessuali indesiderati e vissuti come violenza nel 92% dei casi dal partner ed ex partner, la restante percentuale è rappresentata da familiari e conoscenti e solo il 2% da estranei.
VIOLENZA FISICA
Queste percentuali sono pressochè le stesse rispetto ad altre tipologie di delitti contro le donne. Spintoni, calci, pugni, tentativi di strangolamento o strangolamento, tentativi di ustionare o ustioni, pugnalate o minacce con coltelli avvengono soprattutto per mano degli ex partner e dei partner e solo una parte esigua da estrenei (dal 2 al 10%). Ciò sta a significare che il soggetto violento vive in casa, vive negli ambienti della vittima, la conosce, la frequenta ed ella ha un forte legame emotivo e psicologico con lui che, all’opposto, l’ha cosificata.
LO STALKING
Sebbene la violenza in seno alla famiglia non sia prerogativa esclusivamente maschile, va detto che circa il 75% delle vittime è di sesso femminile, percentuale che sale addirittura al 90% in relazione al reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p., il cd Stalking.
Introdotto con la Legge n.38/2009 e successivamente modificato nel 2013, il reato di stalking è punito con la reclusione da sei mesi a 5 anni ed è perseguibile a querela della persona offesa. Ma chi è lo stalker? Ne proveremo a tracciare l’identikit, dai dati delle Procure e dei Tribunali. Lo stalker, nel nostro Paese è un uomo, la cui età si aggira tra i 40 ed i 50 anni, nell’82% dei casi italiano, nella maggioranza dei casi non ha mai avuto condanne penali, di classe media, a volte alcolista o tossicodipendente ma più frequentemente inserito nel contesto sociale e professionale, magari affetto da un disturbo di personalità che, in ogni caso, non gli impedisce di avere una vita nella norma. Insomma, lo stalker è una persona malata o dedita all’uso di sostanze, ma molto spesso, perfettamente mimetizzata in ambito sociale e, quindi, scarsamente riconoscibile. Il termine stalking deriva dal mondo venatorio ed indica l’inseguire una preda, espressione che ben evidenzia la cosificazione che l’agente fa della persona perseguitata, cui non viene riconosciuto il diritto di determinarsi in autonomia. Il 75% degli stalker ha, difatti, avuto una relazione sentimentale con la vittima, l’interruzione della quale fa scattare gli atti persecutori. È d’uopo rilevare che integrano gli estremi del reato, oltre agli appostamenti ed inseguimenti, tutti quegli atti finalizzati a limitare la libertà di scelta, di determinazione, di privacy della persona cui sono diretti, tali da comportare l’insorgere di ansia e patologie connesse, modificazioni alla propria vita (quali cambiare strada di percorrenza, luoghi di frequentazione ecc.). La condotta punita è l’insieme reiterato di tali atti, tra cui vanno annoverati sms, telefonate, contatti sui social ecc..
Il 12% dei casi di stalking si trasforma in omicidio e sette vittime su dieci non subiranno soltanto l’atteggiamento invasivo del soggetto ma diverranno bersaglio di violenza fisica che, nella metà dei casi, si tradurrà in lesioni personali. Ciò che, tuttavia, l’ordinamento giuridico, i giudici e, prima di essi, la società e, purtroppo, le stesse vittime non hanno recepito pienamente è che l’esplosione della violenza fisica non è altro che una evoluzione della modalità di distruzione posta in essere dai soggetti abusanti in un proprio oggetto.
CODICE ROSSO Legge n. 69 del 19 luglio 2019.
La legge conosciuta come CODICE ROSSO prevede, per reati quali maltrattamenti in famiglia, stalking e violenza sessuale, che la polizia giudiziaria informi immediatamente il PM che, entro 3 giorni, deve assumere informazioni dalla persona offesa. Le pene risultano inasprite dalla norma per gli autori dei suddetti reati e ed stato contemplato il reato di identità in caso di sfregio al volto e il revenge porn, ossia la diffusione illecita di materiale inerente la sfera sessuale.
Tuttavia, è bene rilevare che il violento non cesserà di essere tale se rischia uno o due anni in più, non legge gli articoli del codice prima di stuprare, picchiare e, ammettendo che lo faccia, francamente se ne frega. Il violento aderisce a due codici alternativi: quello culturale che gli impone di punire il partner che si sia ribellato a soprusi e relazione abusante perché lo ritiene soggetto non idoneo ad autodeterminarsi (cultura machista e patriarcale che plasma, in modo magari poco manifestato anche l’Italia) o il disturbato psichico e/o dedito all’uso di droghe ed alcool. Per entrambe le categorie, vessare, umiliare, picchiare, distruggere, uccidere ben vale il carcere. Ne sono esempi i molteplici casi di cronaca di omicidio-suicidio (se arrivano ad uccidersi quanto possono essere frenati dal rischio di un anno di galera in più?) o dalle scene di omicidi in cui l’autore si consegna spontaneamente ribadendo, con una certa arrogante soddisfazione, al magistrato “non sono pentito”
La violenza di genere si ferma anche facendo formazione ed informazione: l’operatore istituzionale, poliziotto, avvocato, medico, docente di scuola, assistente sociale deve saper riconoscere i segni di pericolo, deve saper distinguere la conflittualità familiare, che presuppone una posizione paritetica tra le parti e la violenza nelle sue diverse manifestazioni della violenza psicologica o fisica.
Avv. Marina Marconato
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